Milano si era recentemente arricchita di una proposta gastronomica innovativa: Soot, un ristorante di cucina coreana aperto in via Piero della Francesca. Tuttavia, solo pochi mesi dopo il suo debutto, il locale ha chiuso definitivamente, lasciando spazio a domande su cosa sia andato storto. L’idea di un ristorante che andasse oltre il tradizionale street food coreano ha convinto molti, ma la mancanza di affluenza ha segnato inevitabilmente il destino di Soot, proprio nel momento in cui la città aspirava a nuove esperienze culinarie.
Il chef Kim Minseok, originario della Corea del Sud, ha portato con sé una ricca esperienza culinaria in Italia. Dopo aver completato i suoi studi presso l’Alma, la scuola di haute cuisine, ha lavorato in ristoranti di prestigio come il Seta del Mandarin Oriental e il locale di Daniel Canzian. Queste esperienze hanno plasmato la sua visione gastronomica, orientata verso una cucina coreana che superasse i confini della tradizionale proposta “fast food”.
La proposta di Soot si distingue per il suo approccio “fine dining”, ponendo l’accento sulla qualità degli ingredienti e sulla presentazione. Le recensioni precedenti avevano lodato piatti come la Yukhoe, una tartare di manzo preparata con grande cura, e l’Heamul Jeon, una frittella di cozze cotta alla perfezione. La cura nella preparazione dei ravioli Mandu Guk e la ricercatezza della sella d’agnello hanno elevato Soot a un livello gastronomico rispettabile in una città con un panorama culinario diversificato.
Nonostante il talento e l’impegno del chef, l’aspetto imprenditoriale ha giocato un ruolo cruciale nella chiusura. Kim Minseok ha dichiarato che il proprietario del locale desiderava profitti immediati, una pressione che ha reso difficile costruire una clientela stabile. Il ristorante non riusciva a garantire il pienone in sala, nonostante le ottime recensioni ricevute. Questo scenario ha portato a una lenta, ma inesorabile, discesa verso la chiusura.
Un altro fattore impegnativo è stata la mancanza di una comunicazione efficace e di strategie pubblicitarie mirate. In un tempo in cui la visibilità online e offline meritano attenzione, Soot non ha destinato risorse adeguate per attrarre i clienti. Le azioni promozionali si limitavano ai contatti personali del chef con alcuni giornalisti, il che ha limitato la portata del messaggio al pubblico. Senza una strategia di marketing adeguata, è stato difficile per il locale farsi conoscere colpire l’immaginario della clientela milanese.
La chiusura di Soot solleva interrogativi sull’accoglienza della cucina coreana nel contesto italiano, specialmente milanese. La differenza di approccio e di stile rispetto alla cucina giapponese, molto più popolare, rappresenta un ostacolo culturale. Milano tende a favorire forme di ristorazione che possano generare “hype” immediato, spesso preferendo locali trendsetter e instagrammabili ai ristoranti con un’offerta più complessa e articolata.
Il futuro della cucina coreana in Italia potrebbe richiedere riflessioni e strategie rinnovate: più investimenti nel marketing, una comunicazione chiara e un approccio che spinga verso la scoperta piuttosto che verso il consueto. Kim Minseok, nonostante la chiusura, resta fiducioso e pronto a ripartire se troverà i finanziamenti necessari, con l’intenzione di continuare a lavorare sull’idea di un ristorante rappresentativo della cultura gastronomica coreana.
Le sfide e le opportunità che emergono dalla chiusura di Soot offrono spunti di riflessione su come le cucine etniche possano adattarsi e crescere in un contesto gastronomico in continua evoluzione come quello di Milano. Sarà interessante osservare come questi eventi plasmeranno il panorama culinario della città in futuro.
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