Gli effetti della pubblicità sul comportamento dei consumatori sono stati oggetto di studio per decenni. Recenti ricerche dimostrano come gran parte di queste influenze operi al di fuori della consapevolezza. Dalla scintillante dimensione degli spot pubblicitari ai sussurri delle strategie di marketing, scopriremo come il nostro cervello possa essere stimolato senza che ce ne rendiamo conto, rendendo l’economia comportamentale e le neuroscienze strumenti fondamentali per comprendere il consumo contemporaneo.
Walter Schott, autore di “The Psychology of Advertising in Theory and Practice” , è considerato tra i pionieri nel territorio della psicologia applicata alla pubblicità. Le sue osservazioni iniziali, che affermavano la possibilità che la pubblicità potesse agire sugli individui senza la loro consapevolezza, sono ancora attuali. Nonostante Schott avesse avviato questa discussione, le sue idee rimasero in sordina per circa sessant’anni, fino a quando gli studi di Krugman e Hartley negli anni ’70 riaccesero l’interesse su questo tema. Questi studiosi hanno evidenziato come le emozioni suscitate dalla pubblicità possano essere più influenti delle informazioni razionali, suggerendo che la pubblicità efficace operi mediante un coinvolgimento emotivo più che informativo.
L’interesse risvegliato negli anni ’70 ha portato a studi più sistematici sulla pubblicità televisiva, che ha rivelato induzioni di memorizzazione e connessioni tra immagini e emozioni. Krugman, in particolare, sottolineò che il medium televisivo permette un processo di apprendimento più facilitato rispetto alla carta stampata. Le sue osservazioni posero una pietra miliare nella ricerca sul neuromarketing, avviando procedure che amalgamavano psicologia e tecnologie per osservare l’attività cerebrale durante l’esposizione a stimoli pubblicitari.
Nei suoi esperimenti, Krugman utilizzò tecnologie avanzate per l’epoca, come l’elettroencefalografia e eye tracking, per misurare le reazioni cerebrali e oculari dei consumatori. Risultati significativi emersero, indicando che la pubblicità televisiva attivava il cervello in modi distinti rispetto a quella stampata. A causa della natura immediata e visiva della TV, gli spot producevano un livello di coinvolgimento più basso, permettendo agli spettatori di assorbire informazioni senza necessità di sforzi cognitivi intensi. Questa differenza di attivazione cerebrale suggerisce che le tecniche di marketing devono essere adattate in base al medium di comunicazione usato.
Krugman e Hartley identificarono anche due forme principali di attenzione, quella alta e quella bassa. Entrambi i modelli influenzano notevolmente le decisioni d’acquisto. Questa distinzione è cruciale per comprendere le strategie di marketing moderne, che ora si avvalgono dell’idea che determinate campagne possano operare efficacemente su consumatori in modo inconsapevole, riducendo la necessità di una consapevolezza totale dell’atto di acquisto.
Intorno agli anni ’50, la questione della pubblicità subliminale emerse con forza, accendendo dibattiti accesi in ambito accademico e mediatico. Benché gli esperimenti originali di James Vicary del 1957 avessero dimostrato alcuni risultati controversi e per lo più infondati, la critica alla pubblicità subliminale suscitò curiosità e timori tra il pubblico riguardo alla manipolazione supervisiva. Con l’accresciuta considerazione delle neuroscienze, il dibattito ha riacquistato risonanza, rivelando che la persuasione può avvenire anche senza un coinvolgimento attivo dell’individuo.
Le ricerche moderne suggeriscono che le tecniche di marketing possono trarre vantaggio dall’apprendimento inconscio e dai meccanismi di memorizzazione non standard. Riconoscere questa dimensione consente la creazione di campagne pubblicitarie più sofisticate, capaci di coinvolgere il consumatore a livelli più sottili e profondi. In particolare, il concetto di intuitive marketing si sta rivelando centrale, suggerendo che le forme tradizionali di pubblicità possono coesistere e integrarsi con approcci che focalizzano l’attenzione su processi mentali inconsapevoli.
Il settore vinicolo è un esempio di come le pubblicità possano indirizzare l’attenzione senza necessità di un coinvolgimento diretto. Le campagne pubblicitarie possono orientare le decisioni di acquisto, sollevando la questione se risulti più efficace stimolare una riflessione profonda o semplicemente attirare l’attenzione su un prodotto. Le evidenze dimostrano che anche una strategia di marketing con “basso coinvolgimento” può efficacemente influenzare le scelte, facendo leva sull’inconscio.
Uno studio condotto da Thomas Ramsoy nel 2014 ha messo a confronto il comportamento di acquisto di gruppi esposti a diversi tipi di pubblicità. I dati raccolti hanno mostrato chiaramente che l’esposizione a spot mirati produceva effetti decisivi sulle scelte dei consumatori. I partecipanti, pur affermando di non essere stati influenzati dalla pubblicità, hanno mostrato segni evidenti di memorizzazione inconsapevole, dimostrando che la memoria e l’apprendimento possono operare al di fuori della consapevolezza attiva.
La ricerca sul neuromarketing ci invita a riconsiderare l’importanza dei segnali promozionali nel modellare comportamenti di consumo e aspettative, sostenendo una strategia marketing che abbracci anche le dimensioni più sottili della percezione e dell’attenzione.
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