Il concetto di neuropricing sta guadagnando sempre più attenzione nel campo del marketing, grazie alle intuizioni fornite da esperti di economia comportamentale come George Loewenstein e Daniel Kahneman, vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 2002. Questi studi rivelano che gran parte delle decisioni di acquisto è influenzata da processi automatici e inconsci. L’utilizzo del neuroimaging, disciplina in forte espansione grazie ai progressi nelle neuroscienze, offre nuove prospettive su come il cervello umano risponde a diverse strategie di pricing.
Secondo studi condotti nel campo dell’economia comportamentale, gran parte delle scelte di consumo non è frutto di un’analisi razionale, ma è guidata da processi più istintivi. In questo contesto, il neuropricing si propone come un approccio innovativo: attraverso la misurazione dell’attività elettrica cerebrale, gli esperti possono quantificare la disponibilità dei clienti a pagare una certa cifra per un prodotto. Il nucleus accumbens, una regione cerebrale fondamentale, gioca un ruolo chiave nell’interpretazione del “prezzo giusto“.
In particolare, il cervello reagisce in modi diversi a combinazioni di prodotti. Ad esempio, l’abbinamento “vino e formaggio” stimola il cervello in maniera positiva, mentre “vino e senape” provoca una reazione di avversione. Questo meccanismo può essere utilizzato per identificare il grado di accettabilità di un prezzo da parte dei consumatori, evidenziando la complessità delle decisioni economiche profondamente radicate nei processi neurologici.
Un esempio significativo di neuropricing è stato fornito da un esperimento condotto su una tazzina di caffè di Starbucks, venduta a 1,80 euro . I ricercatori hanno cercato di determinare quale fosse l’attivazione cerebrale più favorevole in relazione a diverse fasce di prezzo. È emerso che i consumatori associano automaticamente prezzi bassi a una percezione di bassa qualità e prezzi elevati a una sensazione di inganno. Questa risposta automatica si basa sull’attivazione del nucleus accumbens.
Durante il test, agli utenti è stata mostrata una tazzina di caffè con vari prezzi accompagnati dai termini “cheap” o “expensive“. Attraverso un pulsante, i partecipanti indicavano se percepivano i prezzi come troppo bassi o eccessivi. I risultati hanno rivelato come, di fronte a variazioni di prezzo, il cervello reagisse in millisecondi, evidenziando la rapidità con cui formiamo opinioni sui prodotti. Ad esempio, differenze rigide come un costo di 10 centesimi contro 10 euro generavano risposte immediate e forti.
I risultati di questo esperimento hanno fornito dati sorprendenti: i partecipanti avrebbero accolto l’idea di pagare tra i 2,10 e i 2,40 euro per una tazza di caffè venduta a 1,80 euro. Questo evidenzia come, grazie al neuropricing, le aziende possano non solo stabilire una strategia di prezzo più efficace, ma anche comprendere i limiti invisibili della disponibilità a pagare dei consumatori.
In sostanza, le capacità di analisi dell’attività cerebrale possono offrire un vantaggio significativo ai marketer, consentendo loro di definire prezzi che vanno al di là delle singole valutazioni economiche. Attraverso una comprensione approfondita dei meccanismi di risposta del cervello, le aziende possono adattare l’offerta di prodotti e servizi per ottimizzare le vendite e migliorare la soddisfazione del cliente. Questo approccio scientifico al pricing rappresenta un’evoluzione nel modo in cui le aziende interagiscono con i consumatori, evidenziando l’importanza di comprendere il valore intrinseco attribuito dai clienti ai prodotti.
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