Il pomodoro, ingrediente fondamentale della gastronomia italiana, ha una storia affascinante che lo ha visto trasformarsi da alimento temuto a vera e propria icona culinaria. Dalla sua reintroduzione nei mercati, nei secoli scorsi, ad oggi, il pomodoro ha assunto un ruolo chiave nelle tradizioni gastronomiche del nostro Paese, specialmente attraverso la preparazione della passata.
La preparazione della passata di pomodoro rappresenta una tradizione consolidata, particolarmente sentita in molte regioni del Sud Italia. In questo periodo dell’anno, le famiglie si riuniscono per intraprendere il rituale della conservazione, una pratica che consente di gustare il sapore fresco dell’estate anche nei mesi invernali. La Sicilia, in particolare, è famosa per lo strattu, un concentrato di pomodoro ottenuto tramite un processo di essiccazione naturale al sole che dura diverse ore.
La passata è essenziale per la cucina italiana: viene utilizzata per condire la pasta, preparare sughi per carni, arricchire pizze e focacce, e perfino in zuppe di pesce e minestre. Questo ortaggio versatile, oggi irrinunciabile, ha visto l’evoluzione della sua conservazione attraverso metodologie che hanno radici storiche profonde.
L’arte di conservare il pomodoro trova le sue origini tra i contadini di Parma nel Settecento. Questi agricoltori lasciavano essiccare i pomodori prima di proceder all’elaborazione della salsa. L’industria delle conserve ha trovato un forte impulso grazie all’imprenditore partenopeo Francesco Cirio, il quale ha segnato un’importante svolta nella conservazione in scatola. Cirio si ispirò alla tecnica di sterilizzazione dei barattoli ideata dal pasticcere francese Nicolas Appert, la quale ha rivoluzionato il modo di conservare gli alimenti, rendendo possibile la producibilità di passata di pomodoro su larga scala.
Mentre Appert ha sviluppato il suo metodo nel Settecento, l’italiano Lazzaro Spallanzani aveva già compreso i principi alla base della sterilizzazione. Tuttavia, la mancanza di continuità nelle sue ricerche ha impedito che il suo lavoro raggiungesse un’ampia diffusione. Così, la tradizione di conserve di pomodoro ha preso piede.
Fino al Seicento, il pomodoro era considerato un frutto misterioso e addirittura pericoloso. In una delle prime classificazioni, l’erborista senese Pietro Andrea Mattioli lo descrisse come tale nel 1544. Il consumo di pomodoro nella cucina italiana ebbe inizio nel Sud, dove veniva utilizzato in preparazioni fritte. Durante il periodo, il pomodoro divenne oggetto di dibattito tra gli scienziati dell’epoca, alcuni dei quali lo consideravano dotato di proprietà afrodisiache.
Un testo fondamentale in questo contesto è “Le Livre de tous les ménages” di Appert, pubblicato nel 1810, in cui l’autore sostiene che con le giuste tecniche di conservazione sia possibile preservare gli alimenti per anni, mantenendone intatte le qualità. Questo tipo di documentazione storica aiuta a comprendere l’evoluzione del pomodoro e il suo cammino verso la valorizzazione nel panorama culinario italiano.
Il concentrato di pomodoro, un’altra importante variante del pomodoro conservato, ha avuto origine nella provincia di Parma negli anni Cinquanta. L’azienda Mutti di Montechiarugolo ha avuto un ruolo pionieristico, introducendo il concentrato in tubetto, un’innovativa forma di packaging in alluminio per l’epoca. Il concentrato di pomodoro si distingue dalla passata per la sua maggiore concentrazione. Questo prodotto è ottenuto riscaldando il succo di pomodoro per far evaporare una parte dell’acqua, risultando in una pasta densa e dal sapore intenso.
Il concentrato di pomodoro può essere trovato in diverse varianti, che si differenziano per il livello di concentrazione di zuccheri: concentrato, doppio concentrato e triplo concentrato. Ognuna di queste opzioni offre opportunità uniche nella cucina, rendendo il concentrato un ingrediente versatile sia per piatti semplici che per ricette più elaborate.
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