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Miti e verità sul sushi: perché i maki sono così ricchi di salmone e il giusto uso di wasabi

Published by
Marco Gerini

Il sushi è una delle cucine etniche più amate e diffuse in Italia, dove la passione per questo piatto giapponese si intreccia con una serie di miti e malintesi. La sua crescente popolarità ha portato alla nascita di numerosi ristoranti, dai tradizionali all-you-can-eat alle eleganti esperienze omakase, ma insieme a questa diffusione si sono affermate diverse credenze errate. Approfondiamo i principali fraintendimenti riguardanti il sushi, per contribuire a una maggiore conoscenza e apprezzamento di questo affascinante piatto.

La miscelazione di salsa di soia e wasabi: una pratica discutibile

La combinazione di salsa di soia e wasabi è una delle pratiche più controverse quando si parla di sushi. Sebbene molti siano convinti che amalgamare questi due condimenti crei un sapore più ricco, in realtà questa abitudine produce un risultato poco appetitoso. La miscelazione genera una sorta di poltiglia che non restituisce né il pungente aroma del wasabi né la raffinatezza della salsa di soia.

In contesti gastronomici autentici, come un ristorante omakase, è considerato un vero e proprio peccato. Qui, l’itamae utilizza ingredienti freschi e di alta qualità, come il wasabi grattugiato al momento e la salsa di soia invecchiata. Il modo corretto di gustare il sushi prevede di applicare il wasabi direttamente sul nigiri, evitando di intingere nel condimento il lato con il wasabi, per preservare i sapori autentici e la qualità dell’ingrediente. Anche nei ristoranti più informali, un uso consapevole di questi condimenti può arricchire l’esperienza culinaria.

Mangiare sushi: la questione della tecnica

Un’altra pratica comune, ma errata, riguarda il modo in cui i commensali consumano il sushi, specialmente i nigiri. Molti tendono a immergere l’intero pezzo di sushi nella salsa di soia, a volte causando un cedimento strutturale del riso, simile a inzuppare biscotti nel latte. L’esperienza di mangiare sushi è, infatti, influenzata molto dalla disposizione degli ingredienti. Se il pesce è eccessivamente sovrapposto al riso, il bilanciamento dei sapori e la consistenza possono risultare compromessi.

Per evitare disastri, è preferibile immergere solo una parte del pesce nella salsa di soia. Una tecnica consigliata è quella di usare una fettina di gari, la radice di zenzero marinata, per prelevare la salsa e poi applicarla delicatamente sul nigiri. Questo non solo preserva l’integrità del sushi, ma rispetta anche le linee guida dell’etichetta giapponese.

L’uso delle mani: una scelta accettabile

Mangiare con le bacchette può risultare complicato, soprattutto se si è alle prime armi. In questi casi, utilizzare le mani diventa un’alternativa perfettamente valida. Non si tratta di un gesto da considerarsi irrispettoso, e in molti contesti, soprattutto nei ristoranti più tradizionali, è una pratica accettata. Essere in grado di afferrare il nigiri con le mani permette di gustare al meglio il piatto, aumentando la superficie di contatto e riducendo il rischio di rottura.

Molti veri appassionati preferiscono assaporare il sushi in questo modo, approfittando della possibilità di controllare meglio il pezzo che si sta mangiando. La tradizione giapponese, del resto, favorisce l’interazione diretta con il cibo, conferendo un ulteriore valore all’esperienza culinaria.

Il salmone nel sushi: una questione di tradizione

Un argomento spesso citato è il ruolo del salmone nel sushi. Sebbene oggi sia uno degli ingredienti più apprezzati, fino agli anni ’80, il consumo di salmone crudo era ritenuto inappropriato in Giappone a causa del rischio di parassiti. Ancora oggi, molti maestri sushi rimangono scettici nei confronti dell’uso di questo pesce, preferendo ingredienti più tradizionali come tonno, tai e ricciola.

L’introduzione del salmone nella dieta giapponese è avvenuta grazie a un accordo commerciale tra Norvegia e Giappone. Il surplus di produzione norvegese ha trovato una nuova vita nei ristoranti giapponesi, facendosi strada da semplici locali kaiten fino a diventare un elemento chiave nel sushi contemporaneo. Si è quindi verificato un cambiamento nei gusti e nelle abitudini culinarie che testimonia l’evoluzione della gastronomia giapponese all’estero.

La freschezza del pesce: una percezione errata

Infine, un altro fraintendimento comune riguardo al sushi è legato alla presunta superiorità del pesce fresco. Sebbene la freschezza sia importante, il concetto di frollatura del pesce sta guadagnando sempre più attenzione. Questa pratica migliora la consistenza del pesce e intensifica il sapore, a prescindere dall’idea di freschezza immediata.

Tradizionalmente, in Giappone, la maturazione e la marinatura del pesce sono pratiche ben radicate e apprezzate. La qualità del pesce serve non solo a garantire un sapore migliore, ma permette anche di esplorare dimensioni gustative diverse. Non lasciatevi ingannare dal mito del “fresco” come unico parametro di qualità nel sushi: la preparazione e il trattamento del pesce sono altrettanto cruciali per un’esperienza culinaria esemplare.

Marco Gerini

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