La storia di Roma è intrisa di figure che, sebbene siano oggi parte di un passato lontano, continuano a vivere nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di conoscerle. Tra queste, i venditori ambulanti di dolciumi, castagne e olive hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare della capitale. Questo articolo esplora la figura di er nonnetto, er fusajaro e le caldarostare, rivelando un mondo di sapori e gioie semplici, che testimoniano l’essenza di una città vibrante e nostalgica.
Il nonnetto, un simbolo di Roma tra gli anni ’50 e ’70, era una figura familiare, specialmente per i bambini che tornavano da scuola. Questi venditori ambulanti non avevano un vero e proprio negozio, ma utilizzavano carretti improvvisati o carrozzine, sulle quali disponevano dolciumi a prezzi accessibili. Quanti di noi possono dimenticare il suono dei richiami melodiosi mentre ci avvicinavamo ansiosi ai loro banchetti? I pescetti di liquirizia, le lacci e i mostaccioli rappresentavano un mondo di dolcezza da scoprire, e i bambini di quel periodo li ricordano con affetto. Ogni dolcetto era un piccolo tesoro, preparato con amore e passione da persone di una generazione ormai scomparsa.
Il legame tra i venditori ambulanti e la comunità andava oltre il semplice scambio commerciale. Questi nonnetti erano parte della vita quotidiana, interagendo con i passanti e riecheggiando frasi che sono entrate a far parte del linguaggio colloquiale romano. Nonostante le condizioni igieniche non ottimali, l’assenza di preoccupazione per la sicurezza alimentare rifletteva la semplicità di un’epoca in cui il calore umano e la convivialità prevalevano. Aneddoti riportati sui social media, come il gruppo Facebook “Memorie di Roma“, testimoniano con immagini e storie il legame tra generazioni, immortalando momenti indimenticabili e l’atmosfera delle strade romane.
I dolciumi venduti dai nonnetti includevano non solo i ben noti pescetti di liquirizia, ma anche una varietà di specialità che evocano l’infanzia di molte persone. Tra questi, i mostaccioli, biscotti di frolla dura, e le caramelle conosciute come “signorine”, erano altrettanto amati. Quelle piccole delizie, racchiuse in colorati cartoccetti, venivano vendute per pochi centesimi, trasformando ogni acquisto in un momento di gioia. I cartocci non erano solo un modo per gustare i dolci, ma un’opportunità per i bambini di condividere questo rito con gli amici.
Il racconto della tradizione culinaria di quei tempi si intreccia con la vita quotidiana. I nonnetti non erano solo venditori, ma custodi di ricordi, portavoce di una cultura popolare che oggi si fa sempre più lontana. I dettagli delle loro pratiche, come l’arte di preparare i cartoccetti contenenti olive, fusaje e bruscolini, suscitano nostalgia e rappresentano un legame prezioso con un’epoca di convivialità e semplicità.
Un altro personaggio iconico della tradizione romana è er fusajaro, un venditore di lupini e snack. Caratterizzato da un modo di fare unico e irresistibile, il fusajaro attirava l’attenzione dei passanti con il suo grido inconfondibile: “Ce vòi er sale?” Questi venditori ambulanti, spesso con il loro borsalino e una bicicletta, si spostavano per le strade romane, rendendo i tenui pomeriggi di sole ancora più speciali.
Il costo di un cartoccetto di fusaje era di dieci lire. Questi piccoli involucri di cartapaglia gialla contenevano non solo lupini, ma anche noccioline e bruscolini, creando un assortimento che affascinava chiunque. La notoria fama di alcuni fusajari, come quello di Prati o Peppe er fusajaro, si è tramandata nel tempo come un esempio della cultura popolare di Roma. Le storie legate a questi personaggi vivono attraverso le narrazioni di chi ha avuto la fortuna di incontrarli, continuando a diffondersi nella memoria collettiva.
I ricordi dei fusajari si intrecciano spesso con quelli delle caldarrostare e degli olivari, altre figure simboliche della tradizione di Roma. Ogni venditore ambulante aveva il proprio modus operandi, spesso caratterizzato da una particolare estrosità e creatività. Le scene quotidiane, con i bambini che masticano lupini e si scaldano le mani con caldaroste, rappresentano momenti di pura magia, illuminando la vita di chi viveva in una Roma semplice e genuina.
L’arte di vendere snack e dolci, privi di regole rigide e licenze ufficiali, rifletteva il carattere informale e accogliente della città. Questi venditori trovavano il loro posto nelle piazze e nei mercati, offrendo ai passanti un assaggio della vita romana, arricchita da emozioni e sapori genuini. Con il passare del tempo, queste figure sono diventate sempre più rarefatte, lasciando un vuoto incolmabile nella cultura gastronomica della città.
Non solo uomini, anche le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella tradizione dei venditori ambulanti. Le caldarrostare, ad esempio, rappresentavano una presenza costante nelle fredde mattine invernali. I cartocci di castagne arrosto costituivano una delizia per i bambini che, afferrandoli tra le mani, trovavano un modo per riscaldarsi lungo il tragitto verso scuola. Queste venditrici portavano con sé non solo cibo, ma anche calore e conforto, creando un’atmosfera familiare che contribuiva alla vivacità delle strade romane.
Allo stesso modo, l’olivaro era un personaggio intrinsecamente legato alla cultura locale. Famoso per la sua capacità di combinare olive, dolciumi e fusaje in un unico banchetto improvvisato, il venditore di olive rappresentava un punto di riferimento per chi passeggiava lungo Ponte Garibaldi o in altre aree della capitale. Con i suoi carrettini malandati e la merce esposta senza alcun formalismo, l’olivaro portava con sé un’atmosfera di autenticità che caratterizzava la vita urbana di un tempo. Anche in questo caso, il contatto diretto con i clienti contribuiva a creare un’esperienza di acquisto vivace e memorabile.
Queste figure storiche, simbolo di un’epoca passata, vivono grazie alla memoria collettiva degli abitanti di Roma. Ricordare i loro nomi, i loro volti e le storie legate alle loro vendite è fondamentale per preservare un patrimonio culturale unico. La semplicità e l’essenza pura delle tradizioni gastronomiche romane non possono essere dimenticate. Questi venditori ambulanti hanno contribuito in modo significativo alla formazione dell’identità della città attraverso il cibo, creando un legame forte tra generazioni e profondamente radicato nella cultura romano-popolare.
La loro scomparsa, influenzata dalle mutate abitudini e dalla modernizzazione, lascia un vuoto che si percepisce nelle strade di Roma, dove il grido del nonnetto o del fusajaro riecheggiava un tempo. La nostalgia di questi momenti è un richiamo a rivalutare la ricchezza delle tradizioni gastronomiche che, sebbene siano cambiate nel tempo, continuano ad essere un prezioso patrimonio da custodire e celebrare.
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