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Salvino Benanti propone riforme per i vini bianchi dell’Etna: una cooperativa e un disciplinare più rigido

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Stefania Romana

L’Etna sta vivendo un momento di crescita significativa nel settore vinicolo, ma le nuove sfide richiedono strategie ben pianificate. Salvino Benanti, uno dei principali produttori della DOC Etna, suggerisce di implementare delle maglie produttive più strette e di costituire una cooperativa per salvaguardare il futuro dei vini bianchi locali. Queste iniziative potrebbero non solo garantire la qualità del prodotto, ma anche migliorare la sostenibilità economica delle piccole aziende che, colpite da annate difficili, rischiano di rimanere indietro.

La proposta di una cooperativa per i produttori dell’Etna

La storia recente dei vini dell’Etna è caratterizzata da un’espansione esplosiva nel numero di produttori, che ha portato una nuova vivacità al panorama vinicolo locale. Tuttavia, secondo Benanti, la proliferazione di piccole aziende rischia di creare una competizione disomogenea e insostenibile. Con una produzione annuale di 170 mila bottiglie, Benanti ha compreso che l’aggregazione potrebbe essere la chiave per affrontare le difficoltà attuali del mercato.

Afferma: “Oggi ci sono troppi piccoli produttori che non riescono a fare massa critica. L’Etna ha trovato un successo precoce grazie a 15 cantine pionieristiche, ma ora i risultati devono essere condivisi con oltre 200 aziende.” La difficoltà di competere in un contesto economico sfavorevole è una realtà minacciosa, in particolare per le aziende che non possono contare su solide risorse finanziarie.

Benanti sottolinea l’importanza di una cooperativa che possa aggregare le piccole realtà produttive. Questo modello cooperativo non solo renderebbe più sostenibili le operazioni vinicole, ma fornirebbe anche un supporto in annate difficili, consentendo a ogni produttore di avere accesso a risorse e know-how condivisi. La proposta, seppur audace, si scontra con le sfide del modello cooperativo, che in tutta Italia sta affrontando momenti di crisi; tuttavia, l’idea continua a guadagnare attenzione nell’ambiente vinicolo locale.

Un disciplinare da rivedere: le esigenze del mercato

Oltre alla creazione di una cooperativa, Benanti mette sul tavolo una revisione necessaria del disciplinare di produzione per i vini bianchi dell’Etna. Attualmente, il disciplinare è considerato troppo permissivo e non sufficientemente in grado di definire un’identità chiara per i vini bianchi. Le statistiche parlano chiaro: la produzione di Etna Bianco ha eguagliato quella di Etna Rosso, con 2 milioni e 400 mila bottiglie rispetto ai 2 milioni e 700 mila di rossi, mentre solo sei anni fa il rosso godeva di un valore doppio rispetto al bianco.

Benanti evidenzia che non tutte le aree dell’Etna sono adatte a produrre vini bianchi di qualità superiori, con aree sud e di Milo che mostrano potenzialità migliori rispetto al nord. Le differenze geografiche si riflettono anche nei metodi di vinificazione, dove alcuni produttori si sono orientati verso tecniche ossidative, indicativo di una certa frustrazione nei risultati ottenuti. “Bisognerebbe mettere dei paletti”, esorta Benanti, riconoscendo che l’attuale disciplina di produzione offre una libertà così ampia da rendere l’Etna Bianco privo di un’identità precisa, confondendo di fatto i consumatori.

Con un disciplinare che solamente specifica il 60% di Carricante e fino al 40% di Cataratto per il bianco, la grande libertà data ai produttori ha portato a interpretazioni variabili della qualità, minando le fondamenta della denominazione. Molti ritengono che un’esigenza di standardizzazione e una maggiore restrizione potrebbero rendere i vini bianchi dell’Etna non solo più identificabili, ma anche più appetibili per un mercato sempre più attento alla qualità e all’autenticità.

Le proposte di Benanti potrebbero dunque rappresentare un cambiamento necessario per affrontare le sfide future, portando l’Etna e i suoi vini bianchi a un nuovo livello di eccellenza.

Stefania Romana

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